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THE DANISH GIRL Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 7 marzo 2016
 
di Tom Hooper, con Eddy Redmayne, Alicia Vikander, Matthias Schoenarts, Ben Wishaw, Sebastian Koch (Gran Bretagna, 2015)
 
Il regista inglese Tom Hooper è ciò che si definisce una fabbrica da Oscar. IL DISCORSO DEL RE, celebre (forse un po' tanto) suo terzo lungometraggio sulla balbuzie di re Giorgio VI gli vale subito nel 2011 quattro statuette, oltre alla bellezza di 12 nomination: Miglior Film, Regia, Interpretazione maschile e Sceneggiatura. Se il successivo LES MISERABLES gli vale "soltanto" 3 nomination ai Golden Globes (Miglior musical, Attore protagonista, Attrice non protagonista) eccolo riaffacciarsi agli Oscar con THE DANISH GIRL: puntualmente, 4 nomination e l'Oscar per la protagonista, la brava rivelazione svedese Alicia Vikander. Qui, all'abilità di Tom Hooper va certamente addizionato il mostruoso savoir faire tecnico di Eddie Redmayne, l'attore, egualmente inglese, che si è impresso ormai in modo indelebile nelle memorie collettive per la sua interpretazione del celebre fisico affetto da SLA Stephen Hawking, in LA TEORIA DEL TUTTO.

Una volta ancora, l'ambizione e l'interesse di un film come THE DANISH GIRL sono da sottolineare. A cominciare dal suo soggetto: la vicenda autentica, nella Copenaghen degli Anni Venti, del giovane pittore Einar Wegener che inizia, quasi per scherzo, a posare in abiti femminili per la moglie Gerda, anch'essa ritrattista. Riscoprendo progressivamente la propria vera identità, Einar diverrà Lili. Subendo nel 1930 in Germania la prima operazione di trasformazione del proprio sesso; soffrendo, in misura forse ancora maggiore, dell'intransigenza e la derisione della società di allora, dell'incomprensione, la speculazione, la lobotomizzazione da parte della medicina e psichiatria di quell'epoca.

Paradossalmente, più che della travagliata parabola del protagonista (che Eddy Redmayne restituisce con una mimica e una gestualità stupefacente, anche se alla lunga un poco ripetitiva) THE DANISH GIRL si significa soprattutto in quella della sua giovane consorte: quasi giocosamente esterrefatta all'inizio, quindi progressivamente indignata, sofferta, infine teneramente presente. Da testimonianza storica (anche se traslata dal romanzo contemporaneo di Davd Ebershoff), da melodramma a rischio lacrimoso, il film scivola, in questo senso validamente, in una constatazione della condizione femminile; di uno statuto - sociale, economico, psicologico - così arduo da modificare.

Il film ha il merito di affrontare con sensibilità e partecipazione un tema che poteva anche risultare scabroso per non dire volgarmente sbeffeggiante. Ma nel contempo, assume il rischio di scivolare via liscio, senza che le asperità di un dramma così forte (uccidere Einar per far vivere Lili) lascino tracce durevoli sugli spettatori. Affidandosi al perfezionismo, alla lunga esasperante, del suo stile accademico, attento prioritariamente alla cura di ogni minimo dettaglio decorativo, lontano da ogni corrosione trasgressiva o in definitiva creativa (con la sola eccezione della sequenza in un peep-show: dove finalmente la regia identifica il proprio sguardo all'intimità del dramma) THE DANISH GIRL risulta di certo elegante. Quando avrebbe potuto essere anche emozionante.


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